Verba Caro (parte prima) di Roberto Nespola

I.
εἰ μή κεχρόνικοι ὁ αἰών οὖτος
περί τό παλαιόν καινόν τε,
ἄπειρον χώραν τινά τόδε τέλος
μή κεχώρηκοι ἄν·
οὔτε ὕπαρ οὔτε ὄναρ αἰών τις
-τελέων τῶν τέλος, ὁρῶν τῶν ὅροι
(διαβατοί ἀεί),
ἀλλά ἄπειρον τις τοῦ αἰῶνος οὔτε,
καί χρόνου, οὔτε τῆς χώρας ἄνευ
πρός τούς τρόπους καί κόσμους πάντας
σάρξ ἄν εἴη.[1]
 
II.
:“Ientes, ituri, eundi sumus”.
Os æonis horridum revulsu
ab illuvie ista chai,
in ciccum[i] granorum molle disiecto
flatuque fatuo fatu fatuato,
etiam in oculorum caligines invehatur,
ensigeras contra umbras
alibi alicubi cinera sine igni
incendii reverberantes;

et caeci oris lacerationi oculatur.[2]

 

III.
καί στόμα τοῦτο, χθών τις ἐρρωγυῖα,
ἄλλῃ ἀεί κεχηνός·
χάσμα τι θάλλων, βάραθρον τι σήπων,
χαράδα καί κρημνός.
καί χαίνον χάος τοῦτο
ὡς κάτοπτρον ἀντί τοῦ στόματος
σκάπτει ὀρύττει τε
θάπτει στέργει τε – ἀσπαζόμενον
πάσχει φθείρει τε.[3]

IV.
Et hianti ore
hiscere carmen,
viscera canere
raris vocibus
hiscendo
extaque penitus
in terris abdita,
et oris carminisque
viscera
in terrarum
hiatibus hiare.[4]

 

 

V.
τό τοῦ φλογός ἄνευ φλέγμα,
ἡ τοῦ χάους φωνή
τῇ (Ϝ)ἑστία ἐστί·
ἠ ἄκανθα
ἐν τῷ τοῦ ναρκίσσου σπέρματι,
καί ἄκανθα καί αἷμα,
ἐν τῷ ἀροτέῳ αὖλακι – τό ἐσκεδασμένον
σπέρμα (καί ῥόα καί ῥόος),
ἄκαιρον καιρίως ἕλκος.[5]

VI.
Sanguinis anguis, spinarum milibus angulans,
per spiracula vel spiramina. (Spiramentum),
se per spineta inhibens, inguen tangit inhiatque:
“…et plagarum æstus inrita faciunt viscera,
et hausti aut spersi cineres omnem ad æstum
plagas tendunt. Virgo cæsia, imago carnariarum
corporis, sonitus oculorum signum, virgo
anguium, et hunc cantum et hanc vocem exenteres
filaque cogitandi prætenue ista scindas”.[6]

 

 

VII.
Ἡνίκα μὲν τήν τοῦ αἰσθάνεσθαι ἐσθῆτα,
ἡμᾶς ἐρέεον ῥάκος ἀπό τοῦ χειμῶνος φύλακον,
ὄφεις ὥσπερ, τῆς λίνα κονέως κλώθουσι,
τηνίκα δὲ τοῦ ῥαψωδικὸν τι ᾆσμα αἶματος,
ὁ ἐν μερῷ Διὸς ἐρραφθείς, διαλύειν ἄρχεται.

Καί κενὴ τις κόνις, ἅτε αἴ τοῦ δεῦρο νῦν τε ἐχίδναι
καί τοῦ ἀλλαχῇ οὖσαι, τούσδε ὄφεις καλύπτει·

ὄφεις, τάς ὄπας τοῦ σκότου ἀκτῖνες διαπερώσαι,
πρόσωπα. [7]

 

Roberto Nespola

 

[1]
Se questa eternità non avesse indugiato
tra il nuovo e il vecchio,
questa fine non avrebbe dato luogo
ad uno spazio infinito;
un’eternità né realtà né sogno
-fine di fini, confini di confini
(sempre valicabili),
ma un infinito senza eternità,
e tempo, né spazio,
sarebbe stato carne
per tutti i modi e tutti i mondi possibili.

[2]
:“Siamo andanti, destinati ad andare,
costretti ad andare”.
Orrida a svellere la bocca dell’eternità
da questo pattume del caos,
col fiato disperso contro la molle cica
dei semi e con un oracolo insensato
follemente proferito,
inveisca ancora contro le caligini degli occhi,
contro le ombre portatrici di spada
che altrove, in qualche luogo, riflettono
le ceneri di un incendio senza fuoco;
intanto si dà la vista alla lacerazione d’una bocca cieca.

 

[3]
E questa bocca, terra spaccata,
rimane spalancata perennemente altrove;
vuoto fiorente, voragine marcescente,
burrone e precipizio.
E questo caos che si spalanca
di fronte alla bocca, come uno specchio,
scava e scava,
seppellisce ed ama – in un solo abbraccio
soffre e distrugge.

[4]
E a bocca aperta
intonare il carme,
cantare le viscere
parlando
con accenti interrotti,
e le viscere cantare degli animali sacrificati,
nascoste nelle profondità della terra,
e dalla bocca vomitare
le viscere
del canto
nelle voragini
della terra.

 

 

[5]
Incendio senza fiamma,
è di Vesta (focolare)
la voce del caos;
la spina
nel seme del narciso,
la spina e il sangue,
nel solco da arare – il seme
disperso (e flusso e melagrana),
ferita opportunamente inopportuna.

[6]
Un serpente di sangue che si piega in mille spine,
per spiragli o soffi, Spirito Santo,
trattenendosi per roveti, tocca l’inguine e spalanca la bocca [se ne sta a bocca aperta]:
“…e le esalazioni delle ferite rendono vane le viscere,
e le ceneri, sparse o raccolte, lacci tendono
ad ogni ardore. Vergine dai glauchi occhi, simbolo dei macelli
del corpo, segno del rumore degli occhi, vergine
dei serpenti, sventra questo canto e questa voce,
recidi questi filamenti del pensiero”.

 

[7]
Quando, cencio di lana che ci protegge dal freddo,
come serpenti, fili di polvere filano
la veste del sentire,
colui che fu cucito nella coscia di Zeus,
comincia a sciogliere il canto rapsodico del sangue.

Polvere vuota avvolge questi serpenti, ché sono vipere
del qui e ora, e dell’altrove:

serpenti, raggi di buio che attraversano i volti,
maschere.

[i] cica, membrana che avvolge i chicchi della melagrana separandone i vari strati.

 

Roberto Nespola, Tuscania. in memoriam

Una risposta a “Verba Caro (parte prima) di Roberto Nespola”

  1. “Incendio senza fiamma”: questo è il tipico esempio di ‘narcisismo interiore’ che,
    per anni e anni, l’autore ha coltivato con il suo ‘inseparabile’ bisturi delle sue ‘esperienze
    mancate’ che, mediante lingue straniere, cercano di ‘eternizzarsi’ in componimenti non più musicali o filosofici,
    ma fisici: violentando ogni parametro d’ignota carne,
    nonché invertendo l’alfabeto della mente, dove un immaginario ALTROVE
    è più VERO della Morte!

    Primo Colasanti

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