Cesare Viviani, “L’ostrabismo cara” e “Piumana”

-Stralci e appunti-

Cesare Viviani, L’ostrabismo cara (Feltrinelli 1973)

Ciò che qui più m’impressiona è l’esposizione quasi assoluta del linguaggio nei suoi aspetti patologici, il suo pathos lunare, uno sviare e sviarsi continuo, svista su svista, in strabico auto-ostracismo.

Il discorso di Viviani s’inviluppa in una serie di spirali contrattive, di contratture implosive, in cui domina la logica onirica del relitto in bilico, derelitto alla deriva, in cui il “da” non è altro che il retrogrado di “ad”, il suo specchio – e viceversa. Condensazione e spostamento.

Il discorso s’incaglia, dunque, in continue fratture, distorsioni e diffrazioni di parole immerse in un liquido amniotico regressivo, quello di un linguaggio liberato da sé.

Ciò che più m’impressiona è la sconcertante amalgama di dadaismo e psicanalisi.

***

per marito per posta uscire a

gridarsene lungo largo e sciò

sotto l’occhio il pitocco scacciato

e dopo avere schiacciato la frontitudine

preteso hai la caccia di sviolinare il peccato

quello che puntini puntini maresciallo toscano

salti che il lume a mano

è distante tre anni. Quindi allungava

il torchio nella presa, colorito

un pochino infiascato e rosso nelle lene

più infossate quasi al cuore.

Che m’è? Embè il tenore del fritto

trinca ma il genere statuario

acquerella in tritone strasseria

la pillola che si intride di cespiti

la inghiottisci, laggiù, con meraviglia

§

il frigio se lo dividessero perché azzardi con le

mele del ragno, assediassero le prese se scorrerebbe

il fagiano per il malocchio, Aldo,

scontrava i corridori gelidi imbelliti che

chiamava fustagno e fruste e fiori li consegui

latrando

Dickens lo allungavano a rispetto

nell’ingressino del bromo

§

la freccia s’è schizzata di mestiere

il racconto in ato si annuncia l’infinito in Mescolato

Vapore e il blocco a sferro rìstia di diacciare Nadia

che aggiogata corre tra i castelli di sabbia

che imbarazza col granturcaio di casa, bene perché era vergine

col peso di un cinquino

§

materasso di crimini non sono così fitti

ma come s’interessa la tinta unita

del Primo Sentimento al biascicato vecchio

questa, situescion, con lo smalto d’essenza

c’è il movimento quello di moschito

Cesare Viviani, Piumana (Guanda 1977)

In questa seconda anta di quello che si potrebbe chiamare “dittico sperimentale” la vena comica e sarcastica è molto più accesa, la dimensione ludica. In essa si rapprende una sorta di melma, di scolo a defluire, in cui s’invasano i più densi detriti d’un flusso linguistico onnicomprensivo (senza origine né direzione che non sia inversa) – scaglie d’erosioni, giochi Vs gioghi del significante. Uno strenuo, ininterrotto rimescolio di continuità e discontinuità.

***

còscimur, si volea pariglia il nomine

serbo non è più il gino d’una pania pasticcia

adduro la costante contamina l’accesso

di Palaia.

Vue per diverse agènori, comperato l’umore,

meno lale di fil in fis nimporta la lucilla

ha rapito che per lontanavenere gespère

tassano gli anni mano il tentativo

§

marìca! indepolìti dal gotico genere

sloo in seconda missione derivata

dalla solvente comica, bagarra intorno

a indemoniata bicipite

e tutto poco intriso di magra, però

a distanza di Menfi

interrato il ripieno, passò l’inglese

l’americano, il divino

tra la riconoscenza di bassa l’urlo

povero dell’etere loro salì

perso la prima allusione

in sala appena chiese rivolto alla

moglie

§

auttutto s’era franto fino ammesso la recèrce del padre

porta in India com’è, raschio di palo cèlere

quel poco e inavvertibile di agguati era parvo di paolo

ma non voglio

attirarmi con quanti tralasciando l’incisa

prendon le pie dell’orto

§

se caster la testata perioma, conferita nell’arti

indesto coi paloma ritobìbo lo sferro dello sposo,

troppo mostoso fasta lammi scendere.

Sture di sai veronici nel grinzo

da sesto pinzo ma non pervenuto,

s’immagina

a disàn il vesuvio d’intròpa

e nei maggi condona

i diretti completi nel suo venere