omaggio a Giuseppe Ungaretti

[…]
D’àugure sciolse l’occhio allora emblema
Dando fuoco di me a sideree onde;
Fu, per arti virginee, angelo in sonno;
Di scienza accrebbe l’ansietà mortale;
Fu al bacio, in cuore ancora tarlo in furia.
Senza più dubbi caddi né più pace.
[…]

(Recitativo di Palinuro, IV strofe, da “La Terra Promessa”)

***

Questo incontro o per meglio dire, questa frizione tra lingua ermetica e canzone sestina, con qualche lieve discrasia, è l’incontro tra i più formidabili tra la mallarmeana tensione all’assoluto e una passione tellurica per la parola. Ungaretti si serve di questa struttura formale così restrittiva e costrittiva per forzare le parole ad un informale che è estrema concrezione di significanti, per condensare i significati in una voragine d’immagini.
Ciò che in mallarmé è algido specchio di riverberi ontologici e immateriali, in Ungaretti è terra e sangue ma in entrambi c’è l’ebbrezza del potere immaginifico e trascendente della parola.