Maurice Blanchot, “L’attesa, l’oblio”

(tradotto da Milo de Angelis)

Due voci, vuote risonanze in uno spazio vuoto, nello spazio vuoto d’una camera d’albergo, un uomo e una donna (conosciuti e sconosciuti l’uno all’altra), voci di un rimemorarsi altrove, forse divinità che ruotano attorno ad uno sguardo altro, si ascoltano senza dire: due assenze. Non ci sono parole in questo scritto, c’è solo il dis-dirsi d’un discorso probabilmente improbabile.

In questo “racconto teoretico”, come lo definisce de Angelis, troviamo il consueto Blanchot allotropo ma con tracce di narrazione in più che solcano la riflessione speculativa e viceversa – in un’atmosfera di straniamento totale; un’atmosfera di straniamento che è dovuta all’impossibilità della voce narrante di aderire a qualsivoglia realtà che non sia quella del pensiero astratto. Più che di tracce narrative si dovrebbe parlare, allora, di abolizioni, di locuzioni mallarmeane, segni cancellati -seppur leggibili- che a stento lo scrivente decifra nello scriverli – e il lettore nel leggerli.

Tutto si fa sospensione in questa scrittura d’attese e tutto si fa immemore in questi voti all’oblio che sono le parole di questo libro.

Quello che Blanchot sembra qui dis-scrivere è un incontro; un incontro attorno al quale la scrittura tesse una tanto fitta quanto labile trama di gesti e intenzioni: supposizioni, memorie e impressioni.

Roberto Nespola

STRALCI

Avrebbe voluto avere il diritto di dirle: «Smetti di parlare, se vuoi che ti intenda.» Ma adesso lei non poteva più tacere, anche non dicendo nulla.

***

Attendere, rendersi attento a ciò che fa dell’attesa un atto neutro, avvolto su di sé, chiuso in cerchi di cui il più interno e il più esterno coincidono; attenzione distratta, in attesa e volta all’inatteso. Attesa che è il rifiuto di non attendere nulla, calma distesa svolta dai passi.

Ha l’impressione di essere al servizio di una distrazione iniziale che si sarebbe lasciata raggiungere solo se dissimulata e dispersa in atti di estrema attenzione. Attendendo, ma in balia di ciò che non si sarebbe lasciato attendere.

[…]

Attendere, cosa bisognava attendere? Se le chiedeva questo, si mostrava sorpresa, in quanto per lei era una parola sufficiente. Se si attendeva qualcosa, si attendeva un po’ meno.

***

Fa’ in modo che ti possa parlare. Lo desiderava veramente? Era sicura che non se ne sarebbe pentita? «Sì, me ne pentirò. Me ne pento già.» Ma aggiunse, non senza tristezza: «Anche lei se ne pentirà.» Tuttavia precisò subito: «Non le dirò tutto, non le dirò quasi niente.» – «Ma allora sarebbe meglio non cominciare nemmeno.» Lei rise: «Sì, ma ho già cominciato adesso.»

Sa da sempre che lì non c’è nulla che non possa essere espresso con le parole più comuni, ma a condizione di appartenere a questo stesso segreto, invece di conoscerlo, e di rinunciare alla propria parte di luce nel mondo. Non avrebbe mai saputo ciò che sapeva. Era quella, la solitudine.

***

«Forse siamo separati soltanto dalla nostra presenza. Nell’oblio che cosa ci separerà?» – «Sì, che cosa potrebbe separarci?» – «Niente, tranne l’oblio che ci riunirà.» – «Ma se è veramente l’oblio?»

Era possibile che avesse riconosciuto in lui, e lui in lei, un potere di essere dimenticato proporzionale all’attesa?

***

L’oblio, il dono celato.

Accogliere l’oblio come l’accordo con ciò che si nasconde, il dono celato.

Non andiamo verso l’oblio più di quanto l’oblio non venga da noi, ma improvvisamente l’oblio è sempre stato là, e quando dimentichiamo avevamo già sempre dimenticato tutto: nel movimento verso l’oblio siamo in rapporto con la presenza dell’immobilità dell’oblio.

L’oblio è rapporto con ciò che si dimentica, rapporto che, rendendo segreto ciò con cui c’è rapporto, detiene il potere e il senso del segreto.

Nell’oblio vi è ciò che si sottrae e questa sottrazione che viene dall’oblio, che è l’oblio.

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«Vieni e restituiscici l’affinità con ciò che scompare, il movimento di un cuore.»

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Che l’oblio parli in anticipo in ogni parola che parla non significa soltanto che ogni parola è votata a essere dimenticata, ma che l’oblio trova riposo nella parola e la mantiene in accordo con ciò che la nasconde.

L’oblio, nel riposo che gli accorda ogni vera parola, la lascia parlare fino all’oblio.

Che l’oblio riposi in ogni parola.

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«Non entrerai mai due volte in questo luogo.» -«Vi entrerò, ma nemmeno una volta.»

***

Con le sue parole imparava in che modo calmo l’oblio si affida alla parola.

La memoria in cui respirava l’oblio.

Il soffio che raccoglie da lei, che attraversa tutta la storia, respiro dell’oblio.

1***

«Ma siamo qui per custodire il segreto.» – «A meno che non sia il segreto a custodirci.» – «E siamo qui, ecco tutto il segreto.» – «Sì, ma siamo qui?» -«È tutto il segreto.» – «E ci siamo segretamente.»