La musica di George Antheil

LA MUSICA DI GEORGE ANTHEIL

È una musica camaleontica, quella di George Antheil: poliedrica ed istrionica. Una volta somiglia a Milhaud e una volta a Stravinskij, una volta a Prokofev e una volta a Shostakovich, una volta a Ravel e una volta a Hindemith. Credo che tutto quello che di originale poteva darci ce lo abbia dato, sostanzialmente, con il Ballet Mécanique [https://digicult.it/it/news/ballet-mecanique/] (e pochissimi altri pezzi).

La prima fase, quella “sauvage” parigina, è caratterizzata da una frantumazione compulsiva della forma in schizzofrenici gesti musicali privi di sviluppo e giustapposti freneticamente e da un’armonia i cui suoni si addensano per metastasi fino al cluster.

Si tratta di una musica che procede per tasselli icastici come in Stravinskij, solo che in quest’ultimo essi sono come raggelati e “svuotati” mentre in Antheil sono estremamente parossistici e spinti fin quasi alla violenza; spinti verso un intenso bruitismo.

Si tratta d’un’incostanza tutta sui generis (il che non vuol dire incoerenza) – d’un caso che scaturisce per intersezioni geometriche ed interruzioni improvvise di elementi contrastanti che si accavallano e s’interrompono a vicenda; di un ordine sempre sulla soglia del caos.

Ironia al vetriolo, dunque, corrosiva al massimo. Niente più forma che non sia rapsodica, niente più sviluppo in senso classico, al massimo minime variazioni iterative. Resta solo una specie di lallazione di frammenti minimi che si coagulano l’uno nell’altro. Non a caso Antheil era soprannominato l’enfant terrible.

La seconda fase, quella americana, è decisamente più tradizionale (leggasi tonale) ma, soprattutto nelle sinfonie, è caratterizzata da una grande visionarietà timbrica.

Roberto Nespola