Fairytale (Una fiaba) di Alexander Sokurov

Un cinema senza alcuna cinesi: non proprio un anti-cinema ma qualcosa che gli si avvicina molto.

«Prima di vedere il mio film non fantasticate, non immaginate niente» ha detto lo stesso Aleksandr Sokurov.

In effetti, si tratta di un’opera piuttosto sui generis. I protagonisti sono nientemeno che Benito Mussolini, Wiston Churchill, Adolph Hitler e Josif Stalin, rappresentati come larve di un inconscio collettivo immerse in una dimensione metastorica o di post-storia (storia impostora). Una dimensione post-postmoderna, insomma. Questi quattro figuri (ai quali si aggiungono per alcune brevi sequenze anche Gesù Cristo e Napoleone), però, non sono interpretati da attori bensì ricostruiti artificialmente attraverso un certosino taglia e incola di filmati d’epoca. Qui Sokurov, infatti, fa un incredibile lavoro di raccolta di materiale d’archivio da tutto il mondo ritagliando e montando minuziosamente frammenti di filmati anche di pochi secondi per fare in modo che le figure storiche siano presenti nel film senza alcuna mediazione attoriale, interpreti di se stessi.

Queste figurine “ritagliate” sono disperse, poi, in un ambiente di architetture fantastiche che si rifanno a disegni e acqueforti di diversi artisti tra i quali Piranesi e Doré oppure vagano nelle cave di marmo italiane – il marmo malleabile d’una storia che si sfalda in se stessa.

Sono ombre vaganti in una sorta di limbo che attendono l’inattendibile davanti ad una porta ben chiusa; una porta che si apre soltanto a tratti per brevi spiragli ma dalla quale non si può comunque passare. Sembrerebbe questo quasi un spunto kafkiano.

In questa babele di fatti e di lingue (ognuno parla soltanto la propria ma comprende tutte le altre) il potere sembra essere visto come una tanto inquietante quanto subdolamente “naturale” metastasi della società (e mi viene in mente Petrolio) e le proiezioni fantasmatiche di questi uomini di potere, colti nelle loro debolezze, smanie e idiozie, prigionieri d’un solipsismo brutale, sembrano essere sempre pronte a riproporsi nella realtà, a reincarnarsi nell’oggi. Per questo sono prigioniere di un limbo eterno al di sopra della storia. Per questo sono sempre sul punto di trasformarsi in archetipi immortali.

Se non proprio di visione mistica, per questo film, credo si possa parlare di contemplazione teoretica; la contemplazione di un flusso onirico di lacerti di frasi in un magma o poltiglia di gesti e opinioni informi: è il flusso di visioni che permea la nostra civiltà delle immagini, un blob insensato che vagola senza direzione ma con una propria ed alta pregnanza fenomenologica.

Roberto Nespola