ANATOMIA FANTASTICA DEL SURREALISMO (Sette piccole tracce)

II. “Sade è tornato…”. Nell’interstizio tra corpo e potere.

(Lacerti d’un discorso possibile)

-[Con questo film] Mi rivolgo in generale [..] a tutti quelli

che come me detestano il Potere per quello che fa del corpo umano:

 la riduzione di questo a cosa, […]. […] nulla è più anarchico del potere,

 il potere fa ciò che vuole, e in ciò è completamente arbitrario […].

È un potere che manipola i corpi in modo orribile

e che non ha nulla da invidiare alla manipolazione fatta da Hitler:

li manipola trasformando la coscienza, cioè nel modo peggiore;

 istituendo dei nuovi valori alienanti e falsi, che sono i valori del consumo [ … ]

Intervista su “Salò o le 120 giornate di Sodoma”,

Filmcritica n°256, agosto 1975

Max Ernst, Ritratto di André Breton (1924)

“Sade è tornato all’interno del vulcano in eruzione/ Dal quale era venuto[1], scrisse Breton in una poesia del 1934. “Con le sue belle mani ancora frangiate / I suoi occhi da giovinetta / E quella ragione da fiore di si-salvi-chi-può[2] che fu / Solo sua/ Ma dal salotto fosforescente a lampade di viscere / Non ha cessato di lanciare ordini misteriosi/ Che aprono una breccia nella notte morale/ Attraverso questa breccia vedo /Le grandi ombre vacillanti la vecchia scorza minata/ Dissolversi / Per permettermi d’amarti / Come il primo uomo amò la prima donna /In tutta libertà /La libertà /Per la quale il fuoco stesso s’è fatto uomo /Per la quale Sade sfidò i secoli con i suoi grandi alberi astratti / D’acrobati tragici / Aggrappati alla fibrilla del desiderio”.

Dopo la svolta politica del surrealismo con il cosiddetto manifesto marxista del 1930 che fu più che altro un escamotage, e la trasformazione di “La rivoluzione surrealista” in “Il surrealismo al servizio della rivoluzione”, torna l’ombra fulgente del Divino Marchese la cui opera è stata considerata da Breton unprodromo a tutta la psicopatologia freudiana.

Torna l’universo sadiano d’una solitudine (d’un solipsismo) che si diffrange in un groviglio di corpi: desiderio e dolore. Torna infine, l’autarchia del desiderio e del dolore quando il potere si fa carne anche se solo immaginata o riflessa.

In quello che possiamo definire uno scatenamento nicciano dell’Es, more geometrico, nelle “Centoventi giornate di Sodoma“, insomma, ci troviamo ancora una volta[3], di fronte all’ossimoro della simmetria nel disordine.

Nelle strutture a teorema dei  romanzi sadiani che spesso sovrastano la scrittura, un qualsiasi intento letterario, il surrealismo ha trovato una prolifica poetica del deserto. Quel deserto che oggi, invece, s’è ridotto ad un isolamento mercificato, un feticcio tra i tanti ma inadatto a sopportare la vita, a sopportare l’ansia continua di surrogare la vita nell’abbandono della memoria.

Ciò che viene creato da Sade è il vuoto. Infinite lacune si accalcano attorno ai buchi lasciati da ogni gesto, dagli istinti estremamente calcolati e sottilmente ponderati dei suoi personaggi.

È dunque per rispondere ad un bisogno profondo che Sade, sbaragliando metafore ed allegorie, scarnifica la letteratura e ne fa uno strumento (crudele) d’alta precisione semiotica il cui unico difetto è una psicologia che dà sempre l’impressione d’essere difettiva.

In sostanza, si scrive per debolezza e Sade scrive ciò che per lui è in tutti i sensi inattuabile[4].

Non bisogna però cassare le indubbie contraddizioni del personaggio De Sade dovute alla fatale discrasia tra vita e scrittura e non bisogna trascurare la sottile ironia che traspare dalle sue parole. Non bisogna dimenticare quindi, che pur appartenendo all’ancien régime, il “Divino Marchese” fu dedito anima e corpo alla Rivoluzione francese e che si oppose energicamente alla pena di morte.

In breve, l’interstizio corpo/ potere, la ferita di questa inevitabile opposizione, sta nel nebuloso confine tra possibile e impossibile, ordine e disordine.

Se Breton nel tentare d’attraversare questo confine, procede per associazioni libere adottando una tecnica tipicamente psicoanalitica, in Sade le idee e le “gesta” dei personaggi (è innegabile l’ombra epica dei suoi romanzi) si associano in un coacervo di pulsioni in cui la libertà non viene lasciata per così dire, allo stato brado ma assoggettata ad un preciso protocollo di regole minuziose.

Non sono questi i dettami della società moderna? D’un ordine di facciata che riesce a mantenersi in vita solo mediante l’occultamento d’un implacabile caos esistenziale? Non è una patina di falso anarchismo ad imbrigliarci nelle pastoie del consumismo più sfrenato? Anarchismo che può farsi fecondo, può essere superato, solo se serenamente proiettato in una dimensione di confronto dialettico necessariamente transitoria?[5]

Concludendo, molti sono gli scrittori che si sono occupati del rapporto tra il potere ed il corpo in tutte le sue estensioni metaforiche.

Solo per fare degli esempi, nel metaromanzo Petrolio di Pier Paolo Pasolini, un romanzo monstrum che descrive il suo stesso farsi, il Potere ed il Kaos sono visti come una subdolamente normale metastasi della società. Una tabe che risponde alle leggi della termodinamica.

Mentre nello scrittore francese Jean Genet il male diviene lo specchio dell’ipocrisia d’una società che si autodefinisce “perbene”… (Alla vigilia del 14 luglio 1789, Sade venne trasferito dalla Bastiglia dove si trovava per adulterio, al manicomio di Charenton- Saint- Maurice. Lo si puniva per aver tentato d’incitare alla rivolta i passanti urlando dalla finestra: “Popolo di Parigi qui si sgozzano i prigionieri!”. Non gli si permise di portare con se nulla.

Il 14 luglio, durante l’assalto alla Bastiglia, la camera di Sade venne saccheggiata. Effetti personali, mobili, libri e manoscritti vengono asportati, distrutti, stracciati o bruciati. Fortunatamente, il manoscritto all’insaputa dello stesso Sade si salvò e venne ritrovato attorno al 1900 presso un libraio tedesco).

Roberto Nespola


[1] André Breton, Poesie- Einaudi 1977, traduzione di Giordano Falzoni (la poesia appartiene alla raccolta “L’Air de l’eau”)

[2] “Una poesia deve essere una disfatta dell’intelletto. Non può essere altro. Disfatta: cioè un si salvi chi può, ma solenne, probante: immagine di ciò che dovremmo essere, di quello stato in cui gli sforzi non contano più…”, Breton in Notes sur la poésie- 1936.

[3] Confronta il numero precedente: Pierre Boulez, René Char e i dilemmi della scrittura automatica

[4] Ho qui accoppiato arbitrariamente due espressioni di André Breton.

[5] Il nichilismo è, a mio avviso, l’altra faccia necessaria della “præsentia in absentia” di Dio. il riflesso demiurgico del Suo trascendere la trascendenza.