Mallarmé, traduzioni a confronto a partire da Patrizia Valduga

(- Mallarmé: Poesie, traduzione di Patrizia Valduga, Mondadori 2003
-Mallarmé: Poesie, traduzione e cura di Luciana Frezza, Feltrinelli 1991
-Mallarmé: Tutte le poesie, a cura di Massimo Grillandi, Newton Compton 1990)

Rien, cette écume, vierge verse (Salut v1)
“Niente, schiuma, vergine verso”

La Valduga, eliminando il dimostrativo dalla traduzione, mantenuto invece letteralmente (“questa spuma”) da Grillandi o come mero elemento trocaico (“una schiuma”) in Frezza, dona al verso una scansione nominale quasi martellante (tre trochei con un dattilo in penultima posizione) che riprende l’ossessiva sequela di “e” del francese (1).
Si tratta di tre accordi fondamentali, tre temi che scolpiscono l’incipit non solo del sonetto in questione ma anche della completa opera mallarmeana; si tratta di accordi simili in tutto a quelli d’una ouverture operistica, accordi che mirano a carpire l’attenzione dello spettatore e dirigerla verso l’aprirsi del sipario; si tratta di tre accordi infine, la cui eco dura per tutto il componimento. Ad essi si richiamano infatti, la solitudine, lo scoglio e la stella del terzultimo verso (“Solitude, récif, étoile”).
Altrettanto magnifiche le soluzioni “…un groppo/ di sirene…” che traduce “…une troupe/ de sirènes…”, nella prima quartina, e “a tutto ciò che l’alba cura / ci valse della velatura” che traduce “a n’importe ce qui valut/ le blanc souci de notre toile”. Così come magnifica è la volontà di rendere le enormi complessità foniche e sintattiche in un testo esteticamente elegante tanto quanto l’originale.
Unica pecca e l’orribile doppio iato del secondo verso (“solo a additare la coppa”), orribile perché fa inciampare il verso in una scivolata di “a”. La Frezza ed il Grillandi utilizzando il verbo “indicare” anziché “additare” sciolgono lo iato in una lettura più fluida.

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Vont ridiculement se pendre au réverbère. (Le guignon, ultimo verso)
“S’impiccano ridicoli al lampione”

Splendido esempio di connubio tra una traduzione metricamente attenta ed il rispetto del senso generale. La sequenza di quadrisillabi sdruccioli conferisce a questo endecasillabo un piglio graffiante veramente molto efficace. Davvero un abisso con la traduzione letterale “vanno ridicolmente a…” di Frezza e Grillandi che, tra l’altro, è sempre caratterizzata da una disordinata ipermetria.

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La lune s’attristait. De séraphins en pleur
rêvant, l’archet aux doigts, dans le calme des fleurs
vaporeuses, tiraient de mourantes violes
de blancs sanglots glissant sur l’azur des corolles (Apparition vv.1-4)

“La luna intristiva. Serafini in ploro
sognanti, archetto alle dita, in quiete di fiori
aerei, traevano albi gemiti scorrenti
sul blu delle corolle da viole morenti.”

Ecco un bell’esempio del vocabolario molto raffinato usato dalla Valduga per la traduzione. Sebbene la scelta di coniare il neologismo “in ploro”(2), resa comunque necessaria dall’esigenza di trovare se non una rima, impossibile, un’assonanza con “fiori”, possa sembrare eccessiva poiché troppo ricercata, la preziosità di simili espressioni (“quiete di fiori aerei”; “albi gemiti scorrenti”) sono in piena sintonia col linguaggio poetico ottocentesco. Senza troppi richiami alla cesellatura estetizzante dei parnassiani e senza perdere certa crudezza linguistica tipica dei poètes maudits, Patrizia Valduga ricrea la dimensione puramente letteraria di questi testi, dimensione che Mallarmé marca fin quasi a renderla un gioco letterale.

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Des crépuscules blancs tiédissent sur mon crâne.
(Renouveau, v.5)
“Crepuscoli albi scrudiscon nel mio cranio”

Spesso, la Valduga, quando non ci siano impedimenti, traduce in maniera identica il ricorrere d’una stessa parola nel susseguirsi dei testi. In particolar modo la coppia “blanc – albo” risulta particolarmente efficace poiché in forte rapporto d’assonanza e consonanza. Inoltre, “albo” è un bisillabo che per sinalefe può “perdere” facilmente l’ultima sillaba divenendo così un omologo sillabico di “blanc”.

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Une Ennui, désolé par les cruels espoirs, (Brise marine, v.11)
“Ancora un Tedio, da acri spemi afflitto”

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Afin de pièce à pièce en égoutter ton glas. (Aumone, v.3)
“Che scoli a morto la tua scampanata”

[…] qu’il voltige dans l’air/ assoupi de sommeils touffus. (L’après-midi d’un faune, vv.3-4)
“[…] che alia in aria/ sopita in sonni folti.”
~
Ne murmure point d’eau que ne verse ma flûte/ au bosquet arrosé d’accords; […] (L’après-midi d’un faune,terza strofa)
“Non fiotta acqua che il flauto mio non mesca/ al brolo asperso d’accordi; […]”
~
A ce massif, haï par l’ombrage frivole, (L’après-midi d’un faune, ottava strofa)
“Nel folto, al rezzo frivolo in dispetto,”
~
[…] sa candeur de plume/ se teignît à l’émoi […] (L’après-midi d’un faune, ottava strofa)
“[…] il plumeo candore tingendo/ lo smago […]”
~
[…] je vais voir l’ombre que tu devins. (L’après-midi d’un faune, verso finale)
“[…] vedrò l’ombra in che sei volta.”

Questo morbido e sinuoso intreccio d’arcaismi e preziosismi alle volte, soprattutto in quest’egloga, mi smarrisce, mi rende spaesato. L’intento della Valduga è più che nobile, oltreché molto affascinante ma, di certo, costituisce un approccio eccentrico se non bizzarro ai testi già di per sé complessi di Mallarmé.
Una traduzione molto raffinata dunque, ma che, per certi versi, aggiunge molto al di già molto. Potrebbe trattarsi di due io, quello della traduttrice e quello del poeta, che si sovrappongono per abolirsi entrambi, però sembra mancare qualcosa. In fondo, le traduzioni più prosaiche della Frezza e del Grillandi lasciano l’io di Mallarmé abolirsi da solo; con grande sforzo ma senza appesantire in alcun modo l’espressione; lasciano insomma al testo originale la possibilità di tralucere proprio nell’impossibilità d’una traduzione perfettamente combaciante.

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La chevelure vol d’une flamme à l’extrême (La chevelure…, v.1)
“La chioma fiammeo volo a occaso estremo”

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Ce me va hormis l’y taire/ que je sente du foyer/ un pantalon militaire/ a ma jambe rougeoyer (Petit air guerrier, prima strofa)
“Mi va se il dirlo sol dato/ di sentirmi al focolare/ pantaloni da soldato/ alla gamba rosseggiare”

In questo caso, la volontà di rendere l’omofonia tra (..)mis l’y taire e militaire (ossia sol dato e soldato) rende la traduzione un po’ macchinosa e l’incipit meno scorrevole. Tutt’altro ritmo, almeno all’abbrivio, ottengono Frezza (“Fa per me (senza tacerne)” …) e Grillandi (“Mi va senza tacerlo”) rinunciando al gioco di parole.

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“Sur les bois oubliés quand passe l’hiver sombre” (Sonnet, v.1)
“Sui boschi obliati quando l’inverno inombra”

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Dans le flot sans honneur de quelque noir mélange. (Le tombeau d’Edgar Poe, v.8)
“nel fiotto inonoro d’atra mistura.” (Valduga)
“nel flutto senza onore di qualche nero miscuglio.” (Grillandi)
“di qualche nero intruglio nel flutto senza onore.” (Frezza)

~
aux noirs vols du Blasphème épars dans le futur. (Le tombeau d’Edgar Poe, v.14)
“all’atra Bestemmia in volo nel futuro.” (Valduga)
“ai neri della Bestemmia voli sparsi al futuro.” (Grillandi)
“voli della Bestemmia sparsi per il futuro.” (Frezza)

Mi è impossibile scegliere un traduttore ideale nella sua interezza. Ogni traduzione è un testo poetico a sé stante, un componimento altro che si avvale d’un riflesso. Le traduzioni, al di là del servizio che rendono a chi non conosce o non conosce sufficientemente la lingua dell’originale, hanno una specifica utilità nel far emergere lo scarto poetico, nel mettere in evidenza l’essenza poetica del testo, se si crede con Robert Frost che “poesia è ciò che si perde nella traduzione”.

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Coure le froid avec ses silences de faux, (« -Mes bouquins refermés sur le nome de Paphos », v.5)
“con silenzi di falce il freddo affretti,” (Valduga)
“il silenzio corra coi suoi silenzi di falce,” (Frezza)
“corre il freddo coi suoi silenzi di falce,” Grillandi

 

 

(1) “E” naturalmente, assai diverse tra loro, se consideriamo le raffinate sfumature foniche di questa lingua.

(2) Parola che comunque mantiene la radice “pleur-” comune a tante parole italiane che hanno a che fare con l’acqua ed il suo scorrere.

 

Roberto Nespola

Édouard Manet, Ritratto di Stéphane Mallarmé (1876) – museo d’Orsay