L’OGGETIVAZIONE ESISTENZIALE DELL’IO: “SENTENZA” DI PRIMO COLASANTI

Una recensione e sei poesie

Come scrisse Alberto Caeiro, eteronimo di Fernando Pessoa, ne “Il guardiano di greggi”, “C’è abbastanza metafisica nel non pensare a niente[1]” e questo sarebbe un ottimo sottotitolo, a mio avviso, per questa nuova silloge di Primo Colasanti. Il suo è un depensamento di beniana immemoria, tale per surplus di pensiero; un pensiero che, in quanto lirico, per forza di cose non può essere che soggettivo ma che vuole anche mostrarsi nel suo processo di oggetivazione esistenziale. Eh già: la poesia ama l’ossimoro, e lo ama con una intensità tale da far traboccare l’amore in odio.

Se nella raccolta precedente Colasanti ci ha mostrato la metamorfosi dell’“io” in “me”, qui il “me”, cioè la parte oggettiva che c’è in ogni contingenza dello stare al mondo, deve fare i conti con la metafisica del testo, con quella gabbia cioè che non permette al Sacro di scaturire in tutta la sua aperta naturalezza, benché Nietzsche vedesse in ogni ordinamento, dunque anche in quello della grammatica, una sorta di riflesso dell’ordine per eccellenza chiamato Dio. Ma Dio per Colasanti non è ordine, o per dire meglio quello che l’uomo schiacciato dai suoi limiti può percepire come ordine divino, bensì apocrifia (praticamente un sinonimo immaginario di “sacro”) e difatti in questo libro l’espressione del sacro è piuttosto implicita che esplicita. È come se il poeta, insomma, avvertisse il componimento poetico come una scatola troppo stretta, sia a livello formale che a livello linguistico. È come se il poeta avvertisse il verso come una sentenza nei confronti d’una realtà interiore che non si lascia domare, che non vuole e non può conoscere limiti; che anela all’oggettivo per trovare pace ma che, in realtà, non lo desidera affatto, totalmente presa dallo slancio vitale, benedetto e maledetto, del trovarsi a vivere. Ogni frase, ogni asserzione, è una sentenza, sembra dirci il titolo, un giudizio che inchioda il pensiero al detto ma la poesia è schiodare la realtà da se stessa e da questa negazione, cioè la negazione che la realtà sia se stessa, parte tutto uno scardinamento della sintassi e della costruzione delle immagini, una sorta di sommovimento tellurico della testualità che in un continuo ribaltamento interno si rifiuta di proporre i versi come segni scolpiti nel bianco marmoreo della pagina, come se si trattasse d’una stele funeraria.

In una sorta di lotta di Giacobbe con l’angelo, la poesia cerca di smontare l’assertività della frase abbondando, ma non solo, di participi e gerundi riflessivi, ossia di forme verbali implicite, spesso lasciate irrelate – in un’azione che si torce su se stessa e diventa criptica. Una poesia, questa, fatta di risonanze dimentiche di frasi altrui, tutte poste in esergo; una poesia che prende a specchio citazioni di altri testi, i più svariati, solo per testimoniare meglio l’eco d’un altrove e d’un altroquando.

Primo Colasanti ci propone stralci di vita e di pensiero vissuti ma da un punto di vista che vuole essere invivibile, o meglio, che del vissuto mostri l’atroce e il sublime invivibile.

Che sia sentenza, frase o detto (nelle accezioni che la parola “sentence” ha in inglese) il verso non ha mai una sola direzione: il poeta non è un direttore musicale che metta insieme i suoni del suo sentire ma un cacciatore di senso che sguinzaglia i suoi cani affamati, perdendosi nell’orizzonte.

Roberto Nespola

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SEI POESIE DA "SENTENZA" DI PRIMO COLASANTI

“[…]
E per il crudele che mi strappa
il cuore con cui vivo,
né il cardo né ortica coltivo:
coltivo la rosa bianca”.
 
José Marti, ‘Coltivo la rosa bianca’
 
Mio Dio, dei minuti vetri, che segui
la mia nuova pelle su coperte TUTTO TRAUMA!
Deh, coda di sguardo, l’occhio morto nell’altro.
Estrema Furia e Furore del Mese imitatore
su questo Sesto Me: tremante, finto viandante,
travestito da ragazzino,
con una cena a lume di candela
nel profumo:
VANO, perché di Madre!
 
***
 
“L’Arte è una tregua spirituale”

Fernando Pessoa

L’Arte È TUTTO un Concerto ai
p
r
o
f
o
n
d
i
s
s
i
m
i


vuoti
 
***
 
“Inverno o estate che sia
accetto questa malinconia
[…]”

Sergio Fravolini, ‘Neve’

Supino, con mani di carta,
mentre il Libro muore
e il Cuor
S’assiste!
O’ teorema (pur se d’assente addio),
HO perso quel primo vento nel piccolo sipario
d’un oggi ‘mezza natura’:
e mi sono addormentato
guardando il Cane…
 
***
 
“[…]
sospirata trasformazione
[…]”

Rosanna Peruzzi, ‘L’erotismo delle ombre’

Sdoppiato, sì, nello specchio come libero,
ah, novellamente, vederSi vivere …
… lasciarSi vivere:
magar durante
orizzonti d’alto vento, che,
di colpo, sussurrano le umili
rime di gatti cristiani

***

“Il poeta ama giocare con l’invisibile
[…]”

Fabrizio Caramagna

Tra L’Espressione
e la
Citazione
IL POETA s c o m p a r e
 
***


“Ci sono fiori dappertutto per chi è capace di vederli”.

Matisse

E restano, i fiori,
così tremendi e lenti,
coll’ombra di ringhiera,
schernendo la sera
a colpi di bufera!
 

[1] La traduzione dal portoghese è di Antonio Tabucchi