FANTASMI E FANTASIME IN UN GIRO DI VITE

Considerazioni su The Turn of the Screw di Benjamin Britten

Britten al pianoforte

La caratterizzazione musicale, drammatica e poetica dei fantasmi è il nodo cruciale de “Il giro di vite” di Benjamin Britten: punto debole e punto di forza allo stesso tempo. Le apparizioni dei due spettri si muovono ambiguamente tra concretezza e inconsistenza, vanità e perdizione, desiderio e psicosi. Una psicosi che può riferirsi non solo alla nuova istitutrice ma anche ai bambini: si tratta, del resto, di due ragazzi rimasti orfani e con un tutore del tutto assente; due ragazzi che hanno trovato in Jessel e in Quint, anche se separatamente, due nuovi “genitori” – mentori nel male. Non a caso, forse, pare che questa scellerata coppia abbia avuto a Bly una relazione. È quindi verosimile che Miles e Flora abbiano maturato per loro un legame morboso e squilibrato, un legame che continua perversamente nella loro mente anche dopo la morte dei due individui e che l’istitutrice, altrettanto perversamente, percepisca questo legame e ne diventi involontariamente malefico prisma.
Ovviamente questa è una lettura che non può andare bene per il romanzo in quanto James adotta in tutto e per tutto il solo punto di vista dell’Istitutrice, la sola che vede e percepisce esplicitamente le presenze spiritiche. Può andar bene, invece, per l’opera di Britten in cui i fantasmi sembrano piuttosto le torbide evocazioni dei desideri e delle paure, ossia delle angosce, dei quattro protagonisti (che poi, sia in James, soprattutto, che in Britten c’è molta ambiguità sul fatto che il male che aleggia sui bambini sia o no tale solo dalla prospettiva del perbenismo moralistico vittoriano).
Indice di questa mia interpretazione è il linguaggio fortemente lirico e metaforico dei due tentatori dall’oltretomba: I am the smooth world’s double face,/ Mercury’s heels/ feather’d with mischief and a God’s deceit./ The brittle blandishment of counterfeit./ In me secrets, half-formed desires meet* (Quint) .
Infatti, al contrario di molti esegeti i quali ritengono che Britten abbia voluto fare dei fantasmi di Jessel e di Quint dei veri e propri personaggi, io credo che bisogna considerare, in primo luogo, che, seppur accortamente semplificata, nella riduzione librettistica gli autori hanno voluto mantenere la struttura a cornice del racconto di James e che, dunque, l’opera mette in scena soprattutto i ricordi dell’Istitutrice. Dunque tra ciò che è accaduto e ciò che è scritto e si rappresenta c’è pur sempre il filtro del ricordo, il filtro -forse falsante- della mente dell’istitutrice.
Direi, allora, che Britten non abbia voluto propriamente “incarnare” o “personificare” in toto queste figure ma che abbia voluto dare loro più corpo, più sostanza drammatica e sonora; forse aggiogato dal fascino, incoercibile per un compositore dotato di forte istinto teatrale, di poter dare spessore musicale a tutto un mondo oscuro fatto di mistero e d’ambiguità, di straniero e di straniante.
Ma proprio questo è il punctum dolens: fare dei fantasmi delle vere e proprie personæ autonome moltiplica confusamente i punti di vista e limita il sottilissimo gioco d’ambiguità e di moltiplicazione dei piani di lettura del modello letterario, creando diverse incongruenze; anche se, come ho già detto, questa autonomia risulti comunque limitata e sfuggente.
Nonostante quello dell’istitutrice sia il personaggio meglio caratterizzato, quello la cui vita, in fondo, al contrario della sua mente, riserva meno enigmi, non è il suo punto di vista a prevalere ma, per rendere Quint e Jessel attivamente partecipi dell’azione teatrale, a questo s’intrecciano contraddittoriamente il punto di vista dei due bambini (soprattutto Miles). Mentre in James l’oscuro amalgama di detto e non detto, non detto perché maliziosamente, moralisticamente e ipocritamente sottaciuto, crea una sottilissima trama di perversioni perbenistiche, molto più inquietante e perturbante di qualsiasi fantasma e, anzi, i fantasmi ne sono abile paravento, in Britten tutto viene schiacciato dal tema della seduzione del male e dell’innocenza violata ma, potere della musica, questa sorta di appiattimento diviene lo spiraglio metafisico attraverso cui la mente e il cuore si aprono ad esperienze più ampie e meno asfittiche.
Ne nasce, dunque, un lavoro d’indubbio fascino e maestria, un capolavoro, ma che -giocoforza- assorbendo troppo l’inconsistenza delle apparizioni spiritiche, diventa, dal punto di vista dell’estetica teatrale, esso stesso inconsistente.
La cosa più sorprendente in questa partitura, la vera grandezza del Britten compositore, è come certo iperstrutturalismo venga usato non per ingabbiare la materia sonora e drammatica ma per liberarne tutte le potenzialità.

Roberto Nespola

___________________________________________________________________________________________________________

*

Sono la liscia contraddizione del mondo,

i talloni di Mercurio

piumati di malvagità e dell’inganno di un dio.

La fragile lusinga del falso.

In me si incontrano segreti e desideri incompiuti.