Le “Szenen aus Goethes Faust” di Robert Schumann dirette da Daniel Harding a Santa Cecilia – piccola nota d’ascolto

Musica liminare e liminale, questa di Schumann, una continua apertura e una continua ferita, e nella forma e nel contenuto espressivo. La liricità del lied e la poetica del frammento l’innerva e l’agita, le tramature armoniche la plasmano architettonicamente. È un teatro ideale in cui la dialettica si scioglie nel multiforme della tensione demiurgica (non a caso Schumann ridimensiona notevolmente il ruolo di Mefistofele).

L’uso continuo di microvariazioni o meglio varianti, non solo ritmiche, sono il segno d’una scrittura sempre in fieri, in cui il senso e la sensibilità formale sono onnipresenti ma la forma in quanto tale lo è solo nell’immediato del suo farsi -quasi-, nell’atto -o meglio azione- d’essere modellata; la forma come processo organico, vivo e in continua metamorfosi, un divenire che non si cristallizza mai completamente ma che resta dischiuso ad una tensione creativa sempre accesa, un perfetto parallelo della Sehnsucht faustiana. E in effetti il dialogo con il testo di Goethe è sempre serrato e intenso, talmente intenso da risultare problematico, per la grandezza poetica dell’opera con la quale Schumann si confronta, forse un po’ inibito.

L’esecuzione di Harding mi pare sia stata nel pieno di questa temperie poetica ma in modo sobrio e raccolto, tutto concentrato nell’ampiezza ideale e simbolica del progetto schumanniano.

Roberto Nespola

https://santacecilia.it/concerto/daniel-harding-schumann/?fbclid=IwY2xjawJoWThleHRuA2FlbQIxMAABHputjp-g7NT_sY4dCA73uyxOhpSNhgnsxAyBaYqubsMYF_7oITAxVI-eGVNy_aem_fNMGZyCaLNTnFBeglffZAA

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