Le poesie di Antonio Porta

: le vie del canto sono (in)finite

Il neutro non seduce, non attira: in ciò sta la vertigine della sua seduzione a cui non si sfugge. E scrivere significa mettere in gioco questa seduzione senza seduzione, esporvi il linguaggio e liberarlo con un atto di violenza che lo abbandona di nuovo ad essa fino alla parola frammentaria: sofferenza della vuota frammentazione. 

Maurice Blanchot, La conversazione infinita

Un canto dell’anti-lirico, quello del Porta de “I rapporti” – un contrappunto che fluisce silente da una trama polifonica sottesa, dalla giustapposizione di segmenti iconici ed icastici slegati solo sintatticamente, come isolati in uno sguardo al microscopio. Una vivisezione di momenti come i fotogrammi di cui parla Bergman: “Nessuna altra arte è come il cinema. Va direttamente ai nostri sentimenti, allo spazio crepuscolare nel profondo della nostra anima, sfiorando soltanto la nostra coscienza diurna. Un nulla del nostro nervo ottico, uno shock, ventiquattro quadratini illuminati al secondo e tra di essi il buio”. E proprio di cinesi si tratta, e di buio, anche se scleroticamente frammentata: un (som)movimento drammatico, drammatico in quanto profondamente dialettico, che scandisce l’ansimare dell’esserci, dello stare-al-mondo. E tale canto si muove, in controluce, profilato ed intrecciato da questi spazi di buio; un canto fatto di corpo e sangue. Un canto affatto etereo o anodino.

Anche il gioco furiosamente modulare del Porta successivo, poi, quello delle raccolte più sperimentali (Cara, Metropolis, Week-end), a differenza di ciò che accade invece nei testi omologhi di Balestrini, non esautora affatto l’espressività del testo, non taglia il cordone ombelicale tra significazione ed espressività: l’oggettivo a tutti i costi e il discontinuo feroce sono solo mezzi per aprire delle crepe nel linguaggio abusato dai media e dall’uso quotidiano, per aprire delle brecce da cui far fuoriuscire il secretum oscuro e contraddittorio dell’espressione. Per non dire ambiguo.

Successivamente, in “Passi passaggi” le immagini cominciano e dilatarsi e a disciogliersi, a disorientarsi nel labirinto dell’atto vocale. Che sia in forma di lettera, voce differita, o del consueto diario, voce interiore, o ancora di teatro smesso di scena, la vocalità in cerca di concrezione è il trait d’union di questi testi. Il canto diventa voce: documento dell’indocumentabile.

È come se, per Porta, nel profondo nodo del reale, esperire ed esperienza fossero due vuoti, uno specchio contro specchio; come se l’esperienza fosse un fare il vuoto nella propria esistenza (un vuoto che ci appare falsamente come pienezza) e questo vuoto diventasse poi la cassa di risonanza di tutte le sensazioni dell’esistere, il luogo dove farle risuonare.

Snudare il linguaggio, metterne alla berlina i nervi scoperti, per riconquistare il canto, taglio dopo taglio, goccia di sangue dopo goccia di sangue. Un canto che, però, non potrà mai essere pieno, estasi, purezza, un oltre: un canto vuoto, anzi, sempre nuovamente dilaniato. È questo ciò che l’immagine dell’Airone, la sua ultima immagine, attesta, svettando in un’unione di cielo e terra.

 

Roberto Nespola

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[Da I rapporti (1958-1964)]

Aprire

 

1.

Dietro la porta nulla, dietro la tenda,
l’impronta impressa sulla parete, sotto,
l’auto, la finestra, si ferma, dietro la tenda,
un vento che la scuote, sul soffitto nero
una macchia più scura, impronta della mano,
alzandosi si è appoggiato, nulla, premendo,
un fazzoletto di seta, il lampadario oscilla,
un nodo, la luce, macchia d’inchiostro,
sul pavimento, sopra la tenda, la paglietta che raschia,
sul pavimento, sopra la tenda, la paglietta che raschia,
sul pavimento gocce di sudore, alzandosi,
la macchia non scompare, dietro la tenda,
la seta nera del fazzoletto, luccica sul soffitto,
la mano si appoggia, il fuoco della mano,
sulla poltrona un nodo di seta, luccica,
ferita dal chiodo, il sangue sulla parete,
la seta del fazzoletto agita una mano.

 

***

 

Rapporti umani

 

XI

“Della mia vita, in un certo giorno,
non seppi più nulla, soltanto quello
che rivelò il barbiere domandando dei
miei figli e m’accorsi di non averne mai
saputo, guardandomi bene negli occhi sopra
la schiuma e i riflessi del rasoio.
Uscii e impolverai le scarpe tra le
pietre, e proseguii, le stringhe
slacciate, sulla via di casa, il
gocciolìo del sudore: entrando qualcosa
accadde, non ricordo; dietro il portone,
immobile tra i cristalli, l’ostilità di
mia moglie e mi chiesi chi era.
Per togliere la polvere, chinato, si recidevano
le stringhe, la fronte mi sanguinava, tra i
cristalli spezzati, le stringhe tra i  capelli,
e premevo, frugando tra le schegge, scrivendo
nella polvere, la lingua mi si tagliava,
lambendo, il sangue colava dagli occhi, sulle tempie,
i figli non sanno nulla…”

 

***

 

[Da Week-end]

 

Utopia del nomade, Movimenti (2)

 

ricchezza prima sono mani e intelligenza
la seconda ricchezza avvicina l’altro da sé
può ritornare in luoghi uguali transumante
mutare itinerario ripetere il giro della terra
torna verso la fine in un luogo stabilito al principio

 

***

 

Utopia del nomade, Movimenti (6)

 

la città si chiama Immagine non ha limiti
né centri può specchiarsi in sé stessa
luogo dove incontrarsi non è dunque
una città ma punto di protezione
porticati o tende luogo vegetale e animale
luogo di acque e coltivazioni uomini
vi s’incontrano o lasciano come vogliono si manifesta
il pensiero linguaggio che va preso alla lettera
sistema di piani e curve per scendere e salire
dietro a donne dietro a figli e animali
non esiste proprietà del suolo

 

***

 

i piedi affondano nella terra molle
i piedi si dimenticano dentro la terra molle
smemorato si allontana con le stampelle di legno
le gambe cedono a una svolta del sottobosco
qui il suolo rifiorisce tutto a tappeto
c’è una testa appoggiata al davanzale
una lingua si sporge per sete
stracolmo di inganni
paese di Primavera
ricordate

 

***

 

[Da Invasioni]

 

è l’uragano della primavera
fischi di uccelli e schiocchi di foglie
travolge la dimensione del tempo
è uno specchio che s’infrange dentro un altro specchio
in quel buco l’uragano passa
soffia sempre più forte
occhi incantati lo guardano
ancora un guizzo nel regno dei pesci
e nuotiamo in un silenzio d’acquario.
Ne hai dunque paura? Oh no,
amico mio, pieno di gioia
vuoto di spiegazioni
colmo di ira
io sono

 

***

 

Per caso mentre tu dormi
per un involontario movimento delle dita
ti faccio il solletico e tu ridi
ridi senza svegliarti
così soddisfatta del tuo corpo ridi
approvi la vita anche nel sonno
come quel giorno che mi hai detto:
lasciami dormire, devo finire un sogno

 

***

 

[Da Il giardiniere contro il becchino]

 

Airone (frammento da)

quando il mio essere si fa opaco lo distendo
ai tuoi piedi, airone
io disteso come prateria
invasa dalle acque dai semi
opposto ai buchi luminosi dello stellato
come in attesa di essere ancora luce
all’alba quando il conflitto si placa e si racchiude
in un uovo minuscolo
dove già pulsa il cuore di un usignolo
dove batte il minuscolo mio cuore neonato
come milioni di altri muscoli nascosti
potenti macchine da guerra che avanzano
che scuotono la cintura della terra
e misurano ogni altro respiro.

 

***

[da Yellow]

 

Buio contro buio
la scrittura come un lume lontano
o invece si apre al presente
e respiro di nuovo
e ho voglia di anticanto
poesia dell’antimateria.