
Giorgio Morandi, Natura morta metafisica
Arrivo da uno sproposito
da crude frasi e voci
che tempo distingue e imploro
d’amore animale — adagio
di natura senza cifrari.
Perpetuo esercizio
di filatura a inseguire
la forma d’uovo più prossima,
o meno ostile, al pensiero
che la genera.
Mi inclino da un lato
a cogliere per minimi fulgori
come si traluce come
si vorrebbe. Arrivo da un quando
ch’è subito tardi — slabbro
dell’ora che tutto posa
in contorno.
Daniela Pericone, Distratte le mani
***
Un albero nasce al primo sole
nessuno ne avverte l’espirio –
è inciso il desiderio
ovunque si espanda la sua gloria –
la radice incendia la chioma
timidezza e tenacia
per millimetrico avanzamento
aereo e sotterraneo – la forza
della terra spoglia di suoni umani
riassume i fuochi stellari.
Daniela Pericone, Corpo contro
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Una sintassi dalla scansione piuttosto mallarmeana e d’una consistenza quasi coriacea. Ogni testo è un setaccio spinoso di parole e gesti, ogni virgola un po’ di sale nella ferita della scrittura: sostare sulla soglia del bilico guardando indietro (verso un altro bilico).
Ogni testo è il frutto d’un intarsio di segmenti che, tirandosi indietro, ritraendo e ritraendosi in una sorta di “riserbo polare”, si trasformano in arcate, in ponti che oltrepassando congiungono. “Infinito finito”*.
Quella di Daniela Pericone mi sembra una parola che, anche quando si fa più discorsiva, tende ad assorbire se stessa, facendosi sprone d’una lingua frastagliata e vibrante, sonora e corposa.
*[“That polar privacy/ A soul admitted to itself – Finite Infinity” come ha scritto Emily Dickinson].
Roberto Nespola